venerdì 27 aprile 2018

Review: La casa di carta

Cari amici di Dreaming Land, oggi voglio parlarvi di un argomento che purtroppo qui non viene trattato di frequente: i telefilm. Dovrei farlo più spesso, recensirvi i telefilm che mi sono piaciuti e quelli che proprio mi hanno fatto salire l’acido in corpo, e forse lo farò!
La casa di carta è una serie tv che ho iniziato e finito in soli tre giorni e che è riuscita a entrarmi in testa in modo allucinante. Non mi capita spesso, in genere mi affeziono a tutte le serie che guardo (e sono tante, davvero), ma questa è riuscita a toccare una corda della mia anima malandata. 
Fatta eccezione delle soap che mia madre mi costringe a guardare, la mia ultima esperienza con serie televisive spagnole risale alla preadolescenza. Era il periodo in cui tutti erano fissati con Paso adelante e io lo detestavo. Non volevo calarmi in un’altra serie spagnola che ero certa mi avrebbe delusa, poi però ho visto il cast e mi sono data una mossa. Ringrazio mia madre per avermi fatto conoscere Alvaro Morte (Professore) e Jaime Lorente (Denver) quando ancora il resto d’Italia non se li cagava neppure per sbaglio, è stata la loro presenza a incuriosirmi e a farmi iniziare questa serie. E grazie anche a donna Francisca, è merito suo se il Professore è diventato un genio del crimine! 
Ma bando alle ciance, vi lascio al trailer e tra poco vi dirò cosa ne penso. 


Titolo: La casa di carta
Titolo originale: La casa de papel
Nazione: Spagna
Dove trovarlo: Netflix
Stagioni: 2+ (è stata confermata una terza stagione che uscirà nel 2019)
Voto: 5/5

Un uomo del quale non si sa nulla recluta otto persone per portare avanti un piano che ha dell’incredibile: rapinare la zecca di stato spagnola. Il professore, è così che si fa chiamare, sceglie i suoi nuovi compagni tra i reietti della società, coloro che non hanno nulla da perdere. E così, per cinque interi mesi, li addestra in una tenuta nelle campagne di Toledo e li prepara a tutti gli imprevisti che potrebbero capitare. L’obiettivo prefissato è riuscire a portare via dalla zecca 2,4 miliardi di euro. Il piano del professore si compone di poche regole che devono essere tassativamente rispettate per salvarsi la pelle e uscire incolumi dalla zecca.
Nessuno degli otto compagni può svelare la propria identità e a ognuno viene assegnato un nome di città: Tokyo, Denver, Rio, Mosca, Oslo, Helsinki, Berlino e Nairobi. È inoltre vietato intrattenere relazioni sentimentali. L’unica relazione concessa, per forza di cose, è quella tra Denver e Mosca, padre e figlio. 

La serie è ricca di flashback che ci permettono di conoscere meglio sia il piano che i personaggi. Veniamo guidati dalla voce narrante di Tokyo e conosciamo, pian piano, tutti gli aspetti di questa folle impresa. 
Ma quanto sono geniali? Una cosa che tutti hanno visto, basta guardare il trailer o anche solo delle foto sui social, è l’abbigliamento dei rapinatori. Una tuta rossa e una maschera di Salvador Dalí. Potrebbe sembrare un particolare irrilevante e invece è importantissimo, un dettaglio che nasce da una grande intelligenza. Se questa serie ci insegna qualcosa, quel qualcosa è: bisogna sempre pensare a ogni dettaglio ed essere sempre un passo avanti agli altri. 

Una delle cose che più mi ha preso è la sigla. L’ho adorata, visivamente è molto semplice ma d’impatto e la canzone è davvero bellissima. La ascolto da giorni e non mi ha ancora stufata. Ve la lascio qui: 

Andando avanti con gli episodi, si prova una sempre più forte vicinanza con i rapinatori. Perché, nonostante tutto, sono a loro modo gentili. Hanno una regola da rispettare, forse la più importante: non uccidere. Non devono uccidere i poliziotti che tentano in ogni modo di entrare nella zecca per stanarli e non devono uccidere i 67 ostaggi. E proprio questi ultimi vengono trattati con gentilezza (nei limiti del possibile, sono pur sempre ostaggi) e con loro i rapinatori tentano di instaurare un rapporto basato sull’empatia e anche un po’ sulla fiducia. Sono costretti a vivere per giorni sotto la costante minaccia delle armi, ma vengono nutriti, curati e tranquillizzati. I rapinatori li chiamano per nome, prestano attenzione ai loro bisogni ed esaudiscono le loro richieste. 

Credo che una delle caratteristiche vincenti di questa serie sia proprio questa: il rispetto che i rapinatori hanno della vita, sebbene si tratti comunque di un rispetto volto a proteggere i propri interessi. Potrebbero uccidere tutti, potrebbero uccidere anche i poliziotti che tentano di stanarli, e invece non lo fanno. Sparano per aria, sparano in basso, ma non lo fanno quasi mai ad altezza uomo. Li hanno definiti “criminali gentili” e non potrei essere più d’accordo. E anche questa caratteristica è stata studiata a tavolino per anni. Il professore vuole che l’opinione pubblica simpatizzi con i rapinatori, perché sono la resistenza, sono la voce del popolo. Loro non rubano il denaro di altri, non entrano in una banca per rubare i risparmi del popolo, ed è proprio questo a fare la differenza nella mente di chi segue la vicenda dall’esterno.

Questo gruppo di rapinatori non fa richieste assurde alla polizia perché vuole che vengano esaudite, le fa perché cerca di ottenere l’unica cosa che vuole davvero: il tempo. 
Il tempo è denaro: mai parole furono più vere. Non posso dire altro, perché il rischio di spoiler è sempre in agguato. 
Posso però dirvi che questa serie è ricca di colpi di scena, non si sta mai tranquilli. Quando pensi “è finita”, ecco che arriva la cosa che non ti aspetti. Gli imprevisti sono sempre in agguato e non mancano le sorprese. Una mente che riesce a ideare un piano tanto ingegnoso e impenetrabile (almeno per una buona parte) non può che essere geniale. E allora è normale ritrovarsi lì a simpatizzare per i criminali, a sperare che ce la facciano e che la polizia sia sempre un passo dietro a loro. 

Vi consiglio questa serie? Non potrei fare altrimenti. Sono rimasta incollata alla tv per tre giorni di fila, a guardare un episodio dietro l’altro e…


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